Solo nella tradizione è il mio amore.
 

Pier Paolo Pasolini

Quando i turisti che passeggiano per Marzamemi mi chiedono se Pachino valga una visita,  l’unico posto che mi sento di indicare come imperdibile è il Museo del Vino di Nele Nobile, l’unico luogo dove si respira ancora la storia di Pachino.

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Nele Nobile è una di quelle rare persone ancora capaci di raccontare una storia e di regalare con questa una magia, uno storyteller siciliano, un aedo, un cantore moderno che, non disponendo di un testo scritto, diventa a volte anche compositore. E sa incantare al punto che le foto dell’articolo sono state fatte da mia figlia di 9 anni, affascinata anche lei da una storia che sa che non deve andare dimenticata ma tramandata.

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Già, perché prima delle distese di serre, questa terra baciata dal sole e dal vento era disseminata di viti ad alberello (di greca derivazione) che crescevano rigogliose in filari a perdita d’occhio. Il clima asciutto, il vento di scirocco e i terreni salmastri creano infatti un’atmosfera particolare che, oltre ad entrare nell’anima dei viaggiatori, regalano le migliori condizioni per la coltivazione della vite.

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A partire dal XVIII secolo, infatti, il vino Nero di Pachino, ricchissimo di polifenoli, antociani e resveratrolo, ora noto ed affermato universalmente come Nero d’Avola, fu utilizzato come vino da taglio per arricchire i vini toscani, piemontesi e francesi. Il Nero Pachino 48 ore, con una gradazione di 16/17°, fermentava infatti con le bucce per 2 giorni, prendendo da queste il colore e i tannini. Aggiunto ai vini meno strutturati, trasmetteva loro forza, colore e durata.

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Grande era l’indotto derivato dalla vendita del mosto ma grande era anche il valore sociale, oltre che economico, della vendemmia, che coinvolgeva gli abitanti di Pachino e quelli dei paesi limitrofi. Un vero propio rito, un momento di aggregazione sociale, una festa per grandi e bambini, che nonostante la fatica della giornata la terminavano suonando e ballando nell’aia.

Poi la protagonista diventava la piazza di Pachino, dove venivano portati i campioni di mosto per l’assaggio e l’analisi degli zuccheri trasformati. Stabilito il prezzo del mosto, questo veniva messo in barilotti  e da qui portati con carretti in spiaggia, dove venivano messi in mare e ripescati dai velieri, a fine ottocento; successivamente negli anni ’30, il mosto viaggiava via ferrovia in vagoni con i serbatoi, sostituita negli anni ’60 dalle navi vinacciere, che arrivavano a trasportare 600.000 litri di mosto.

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E che emozione è stata, per una milanese come me, scoprire, sempre grazie ai racconti di Nele, che ogni lunedì mattina alla Galleria di Milano si teneva l’asta per accaparrarsi il miglior mosto di Nero di Pachino!

Ogni oggetto raccolto da Nele legato alla cultura del vino e della lavorazione dell’uva, racconta un pezzetto di questa storia.

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Torchio
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Sala del museo
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Carretto con barili per trasporto mosto e vino del 1920 – unità di misura 384 litri 
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Il carretto che portava le donne

Il Museo, che più che altro è una collezione privata tutelata in gran parte dalla Sovrintendenza ai Beni Culturali, è un gioiello senza tempo ricavato all’interno dell’ antico palmento di famiglia, il luogo in cui avveniva la pigiatura dell’uva per produrre il mosto che per caduta finiva in grandi vasche.  

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Oltre al Museo si può visitare la cantina, dove si organizzano degustazioni dei vini e degli olii di produzione propria, di sapone al latte d’asina, al fico d’india e al miele, sempre prodotto artigianalmente. Da qualche anno inoltre è teatro di diversi eventi, tra cui la Festa della Pigiatura, ormai giunta alla IV edizione. Oltre alla passione per il vino, Nele ha anche quella dei cavalli. Ne troverete un paio dolcissimi, che occasionalmente accompagnano il padrone di casa a passeggio con la milordina, la carrozza nobiliare di fine ‘800. A farle compagnia,  l’immancabile carretto siciliano: quello di Nele risale al 1929, costruito a Sortino dai maestri Zuppardi e Sardo, una vera e propria opera d’arte.

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Ruota di carretto
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Chi va in cerca dell’ identità di questo territorio, tramutato negli anni dalle serre e dai tunnel di plastica, non può non visitare la casa di Nele.

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Targa del nonno del padre di Nele
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A chi gli domanda cosa lo ha spinto a sobbarcarsi la raccolta e la gestione di questa collezione,  risponde “Siccome ho visto soffrire la gente per questo lavoro, mi è sembrato brutto far dimenticare il passato, i sacrifici dei nostri nonni, dei nostri padri, della mia famiglia che lavora col vino da 100 anni”.S